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    Branson e Bezos, davvero con la corsa fra Paperoni inizia l’era dello Spazio per tutti?


    Quella di Sir Richard Branson, patron del colosso Virgin, e di Jeff Bezos, fondatore ed ex ceo di Amazon, è davvero una corsa allo Spazio democratico? La narrazione è pompatissima in questo senso: “Una cosa è sognare di rendere lo Spazio accessibile a tutti, un’altra è riuscire davvero a tradurre il sogno in realtà” ha detto per esempio l’imprenditore britannico che controlla oltre 400 società per un patrimonio netto di quasi 6 miliardi di dollari. Brucerà l’americano decollando con la VSS Unity il prossimo 11 luglio: nove giorni prima del volo di Bezos col fratello Mark, l’anziana aviatrice Wally Funk e un misterioso milionario che ha sborsato quasi 30 milioni di dollari per farsi infilare nel singolare equipaggio. Effettueranno un breve volo suborbitale, come d’altronde quello della Virgin Galactic, a bordo della New Shepard, la navicella panoramica della società fondata nel 2010, la Blue Origin.

    (foto: ESA/Getty images)

    Quanto ci riguarda questa corsa fra Paperoni? Una specie di Luna Park per straricchi dalle ricadute scientifiche a dir poco trascurabili. Si tratta di voli suborbitali la cui ragion d’essere è infatti fondamentalmente turistica: vendere carissimi biglietti ai nababbi del pianeta, al netto delle immancabili operazioni benefiche e d’immagine, per portarli a sfiorare la linea di Kármán, il confine convenzionale a 100 chilometri di altitudine che segna l’inizio dello Spazio. Utilità scientifica? Sconosciuta. Non si tratta di voli che fanno la spola con la Stazione spaziale internazionale, come quelli della SpaceX di Elon Musk e che dunque rientrano in un piano estremamente più ampio in coordinamento e per conto della Nasa e di altre agenzie spaziali, né di test per obiettivi futuri. A stringere, puro divertimento ad altissimo tasso adrenalinico.

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    Inquinamento? Da stimare: se è vero che New Shepard viene spinto da un razzo riutilizzabile che brucia idrogeno e ossigeno liquido, VSS Unity portato a 15mila metri di quota dallo spazioplano SpaceShipTwo con un composto a base di gomma sintetica come combustibile solido, almeno per quel che se ne sa. E poi bisognerà capire, quando il servizio entrerà a regime con tanti voli settimanali, come cambierà la situazione del traffico di questo tipo, che tipo di propellenti verranno utilizzati, come e se verranno davvero riutilizzati i diversi stadi dei moduli.

    Accessibilità? I primi equipaggi sono stati ovviamente composti con famigliari, dipendenti delle società, personalità celebri. Ma in futuro il turismo spaziale a chi sarà riservato? Presto detto: su Virgin Galactic una poltrona costa come minimo 250mila dollari, sono in fila oltre 700 persone fra cui Lady Gaga e Leonardo DiCaprio. Su New Shepard il primo biglietto è stato appunto battuto all’asta per 28 milioni di dollari. Hanno partecipato più di 7.500 persone da 159 paesi e i proventi saranno versati alla fondazione di promozione della cultura scientifica Club for the Future, guarda caso di proprietà della stessa Blue Origin. Sui prezzi futuri non c’è ancora chiarezza ma è appunto verosimile che siano molto più alti di quelli richiesti da Branson, già salatissimi.

    Da sinistra, Richard Branson, Jeff Bezos e Wally Funk (foto Virgin Galactic e Blue Origin)
    Da sinistra, Richard Branson, Jeff Bezos e Wally Funk (foto Virgin Galactic e Blue Origin)

    A questo testa a testa fra capitani coraggiosi si aggiunge anche quello della Inspiration4, la missione suborbitale (in questo caso sponsorizzata anche da Musk) che decollerà entro l’anno e di fatto interamente finanziata dal miliardario 37enne Jared Isaacman, fondatore e Ceo di Shift4Payments, che ha redistribuito i tre posti rimanenti nel contesto di un progetto di beneficenza per il St. Jude Children’s Research Hospital di Memphis, noto a livello internazionale per la ricerca sulle malattie pediatriche gravi. Del gruppo farà infatti parte anche la 29enne Hayley Arceneaux: è assistente medico nello stesso ospedale, diventerà la più giovane americana a volare nello spazio e sarà l’unica ad averlo fatto con una protesi (ha sconfitto da giovanissima un cancro alle ossa che ha reso necessaria una protesi al femore sinistro).

    Per il momento, dunque, la corsa al turismo spaziale è una specie di riserva per ricchissimi capi di una manciata di grandi gruppi tecnologici. Il carattere di democraticità, nonostante la spintissima comunicazione, ovviamente non esiste perché i costi sono e resteranno per anni proibitivi. Quello scientifico è da capire, così come quello ambientale. Il velo poetico che Branson e Bezos provano ad agganciare all’impresa (“Sognavo di volare nello Spazio da quando avevo cinque anni” ha scritto di recente il secondo) sarà senz’altro sincero ma fatica ad affascinare oltre una certa misura. Il pianeta ha ovviamente bisogno di esploratori, avventurieri e di gente che sposti sempre di più i limiti (lo abbiamo visto con i vaccini), anche se occorre capire in quale direzione. Forse, però, in questo caso la coppia di miliardari lo sta facendo più per sé, e per i propri pochi simili, che per un’orbita terrestre bassa che invece dovremmo proteggere dall’invasione dei molesti microsatelliti di Musk (e non solo), dall’accumulo di pericolosi detriti spaziali e da una campagna geopolitica che promette scintille fra le grandi potenze. Le cose non si escludono, certo, ma viene sempre da domandarsi se quelle immense risorse non potessero finire – pur creando legittimo profitto – in qualche altra impresa più utile agli esseri umani di oggi e di domani.

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