È arrivata all’inizio di questa settimana la notizia della richiesta da parte della casa farmaceutica statunitense Merck alla Food and drug administration (Fda), l’ente che regola i medicinali negli Stati Uniti, di approvare con autorizzazione d’emergenza l’uso della sua pillola anti Covid-19 molnupiravir. E a distanza di poche ore anche l’anglo-svedese AstraZeneca ha pubblicato un aggiornamento sul proprio farmaco AZD7442 a base di anticorpi monoclonali, annunciando (prima ancora che ci sia una pubblicazione scientifica a confermarlo) i risultati nella fase 3 di sperimentazione, oltre all’aver inoltrato un’analoga richiesta di autorizzazione d’emergenza alla Fda.
Due notizie che, pur riguardando soluzioni farmacologiche molto diverse fra loro, segnano un ulteriore passo avanti verso l’arrivo sul mercato di nuove terapie contro il coronavirus Sars-Cov-2. E che parrebbero accomunate da un fattore quantitativo: in entrambi i casi, infatti, i medicinali hanno dimostrato di avere in prima battuta un’efficacia prossima al 50% nel prevenire le forme gravi (mortalità inclusa) di Covid-19, a patto di essere somministrati in modo sufficientemente precoce. Ma andiamo con ordine.
Le ultime sugli anticorpi monoclonali AstraZeneca
Il farmaco AZD7442 non è certo una new entry nel panorama delle potenziali terapie contro il Covid-19. Su Wired e su molti giornali se ne parlava già un anno fa, a ottobre 2020, e a febbraio di quest’anno era già stato avviato lo studio clinico di fase 3 chiamato Tackle. Studio che, almeno stando agli annunci pubblici dell’azienda, sarebbe ora concluso con successo, rendendo plausibile un’imminente via libera da parte delle varie agenzie regolatorie a partire da quella statunitense.
Dal punto di vista più tecnico-scientifico, AZD7442 è una soluzione da somministrare mediante iniezione intramuscolare costituita da una combinazione di due diversi anticorpi monoclonali: il tixagevimab (in sigla, AZD8895) e il cilgavimab (AZD1061). Questi, detti anche anticorpi a lunga durata d’azione (Laab, long-acting antibodies), agiscono direttamente sulla proteina spike del coronavirus Sars-Cov-2 inibendone la capacità di replicazione all’interno del corpo umano, e sono ottenuti mediante un processo di ingegnerizzazione dei linfociti B di pazienti guariti dal Covid-19.
Secondo i dati ottenuti da un gruppo di circa 900 pazienti fragili coinvolti nella sperimentazione, AZD7442 (somministrato in aggiunta alle altre terapie standard) è capace di dimezzare la mortalità dei pazienti contagiati e dimezza anche la frequenza di casi gravi e gravissimi. Il tutto se somministrato precocemente nelle fasi iniziali della malattia, e comunque al massimo entro 7 giorni dalla comparsa dei primi sintomi.
Naturalmente quella di AstraZeneca non è l’unica formulazione esistente a base di anticorpi monoclonali. Ci sono per esempio anche quelle messe a punto da Regeneron e da Eli Lilly, basate su anticorpi monoclonali diversi. La differenza, almeno secondo quanto dichiarato dall’azienda stessa, è che AZD7442 sembrerebbe essere promettente non solo per trattare i pazienti già positivi, ma anche come profilassi pre-esposizione al virus, poiché una volta iniettati gli anticorpi resterebbero in circolo per almeno 9 mesi. Sull’efficacia per la profilassi antivirale, però, non ci sono studi a supporto e l’eventuale autorizzazione al commercio che dovesse arrivare riguarderebbe solo l’uso per le fasi iniziali della malattia.
La pillola anti Covid-19 di Merck
Molto diversa nella somministrazione, poiché si tratta di una compressa da assumere per bocca, è la soluzione proposta da Merck (meglio nota in Italia come Msd) e Ridgeback Biotherapeutics, sempre per intervenire nelle fasi precoci della malattia. Sulla base di uno studio clinico di fase 3 condotto su quasi 800 pazienti fragili, la pillola a base dell’antivirale molnupiravir sarebbe in grado di dimezzare la probabilità di decesso e di arrivare a forme gravi o gravissime di Covid-19. Sempre ammesso che il rimedio sia assunto quando la malattia ha ancora forme “da moderate a lievi”. Un risultato che ha portato ad accelerare il percorso per arrivare all’autorizzazione, e che potrebbe segnare un passo avanti importante nel ridurre l’impatto della pandemia sui sistemi sanitari nazionali.
Fiduciosa nel buon esito del processo di approvazione emergenziale, Merck ha anche annunciato di avere già avviato la produzione di massa del farmaco (assumendosene il rischio economico), puntando entro la fine di quest’anno di arrivare ad avere una quantità di pillole sufficiente a coprire l’intero ciclo di trattamento per 10 milioni di pazienti. Il ciclo di trattamento prevede che le piccole capsule (di colore marrone) siano assunte due volte al giorno per 5 giorni, per un totale di 10 somministrazioni complessive. La produzione da qui a dicembre ammonta quindi a 100 milioni di capsule, e 17 milioni sarebbero già stato acquistati dal governo statunitense, che ha pagato 1,2 miliardi di dollari.
Il motivo per cui si è creata grande aspettativa per il molnupiravir non sta solo nella facilità di somministrazione. Si tratterebbe, una volta autorizzato, del primo farmaco che agisce direttamente contro il virus Sars-Cov-2, a differenza di altri di uso corrente (come il remdesivir) che sono meno specifici e poco efficaci. E inoltre aprirebbe la strada all’utilizzo di terapie di combinazione con altri farmaci, consentendo un’efficacia complessiva sul paziente ancora più alta.
Farmaci anti Covid-19 e vaccini
Naturalmente la pillola messa a punto da Merck non è un competitor diretto dei vaccini, poiché sarebbe somministrabile nelle fasi precoci della malattia e non come farmaco per la profilassi. Leggermente diverso invece è il discorso per le formulazioni a base di anticorpi monoclonali, che – nel caso fossero autorizzate anche per l’uso come terapia di prevenzione – potrebbero risultare una valida alternativa ai vaccini per i pazienti immunodepressi, ossia che non sono in grado di sviluppare sufficienti anticorpi dopo la somministrazione del vaccino.
Non c’è dubbio però che i vaccini resteranno la strategia principale per combattere la pandemia, per almeno un paio di ragioni. Oltre all’ottima efficacia che i vaccini Pfizer e Moderna attualmente in uso nel nostro paese garantiscono nel prevenire le forme gravi della malattia, ci sono anche importanti ragioni di carattere economico. Le terapie a base di anticorpi monoclonali hanno un costo di ordini di grandezza superiore rispetto ai vaccini, dunque non sarebbe proponibile al momento di utilizzarli come farmaco di massa, anche ammesso fossero autorizzati per la profilassi. Mentre per l’uso post-infezione (al di là delle questioni economiche) rappresenteranno probabilmente un’opportunità in più per ridurre il numero di ricoveri e di decessi legati al Covid-19, ma va da sé che la soluzione migliore non possa che essere di prevenire l’infezione fin dal principio.
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