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    Le misure contro Covid-19 alle Olimpiadi di Tokyo sono sufficienti?


    (Foto: Ryunosuke Kikuno on Unsplash)

    Alle Olimpiadi di Tokyo manca poco, pochissimo ormai. Ed è, come si dice in questi casi, tutto pronto. Ce lo hanno ricordato le foto degli atleti azzurri in partenza nelle scorse ore, tra l’altro. Ma il fiato sospeso non è solo per l’avvio delle competizioni. Con la pandemia ancora in atto e i casi che hanno ripreso a galoppare in molti paesi, complice la diffusione della variate delta, c’è timore per quello che succederà con Covid-19. Le paure che le Olimpiadi possano diventare un volano per i casi di infezioni ci sono, e da più parti si sono alzate voci critiche su quanto le misure in atto riusciranno a tenere a bada il coronavirus.

    Che sia impossibile immaginare una manifestazione Covid free è chiaro a tutti, e lo dimostrano i casi già segnalati di contagi legati alle Olimpiadi: dal primo luglio sono stati oltre settanta, e hanno riguardato anche alcuni atleti. Il timore di non poter riuscire a contenere i focolai è tale che anche Toshiro Muto, a capo del comitato Tokyo 2020, a poche ore dell’avvio dei giochi non ha escluso addirittura la loro cancellazione.

    Le misure contro i contagi

    Le misure anti-Covid-19 prese per le Olimpiadi sono diverse, dentro e fuori il villaggio olimpico. La stessa decisione di vietare la presenza del pubblico alle competizioni è una grossa misura di contrasto al virus. A cui si aggiungono marginalmente quelle messe in atto dopo la dichiarazione dello stato di emergenza a Tokyo, in essere fino al prossimo 22 agosto, come la chiusura di bar e ristoranti alle 20 e il divieto di vendita di alcol.

    Lo scopo, è chiaro, è quello di scoraggiare occasioni di raduni e assembramenti che possano favorire la diffusione del virus. Scoraggiati anche durante le tappe della tradizionale staffetta della torcia olimpica, avvenuta seguendo una lista di misure anti-contagio non molto diversa da quella cui sono stati e saranno sottoposti gli atleti che parteciperanno ai giochi. Sostanzialmente si tratta delle solite misure, come distanziamento, igiene, mascherine, a cui si aggiungono note più particolari. Chiunque sia coinvolto nell’evento è invitato per esempio a non parlare ad alta voce e l’invito per i tedofori, così come per lo staff, è di tenersi lontani nelle due settimane precedenti la loro performance da occasioni rischiose, mangiare fuori così come frequentare – neanche a dirlo – luoghi affollati. Vietato anche mangiare allo stesso tavolo per lo staff, e se proprio si deve meglio evitare di parlare.

    Le indicazioni riguardano, ovviamente, anche il monitoraggio delle condizioni di salute, al momento e durante le due settimane precedenti l’evento. Monitoraggio che per gli atleti sarà particolarmente stretto e affidato a una app.

    Le regole per gli atleti

    La lista di regole da seguire per gli atleti – e in generale tutti i partecipanti ai giochi – è infatti lunghissima. L’intento dichiarato è tanto quello di proteggere tanto i protagonisti e i partecipanti delle Olimpiadi e Paraolimpiadi dal Covid che ovviamente anche il Giappone e i suoi abitanti da nuove possibili spinte esterne all’epidemia, anche in considerazione del fatto che rispetto ad altri paesi il peso della malattia finora sulla popolazione – al momento vaccinata completamente è circa un quarto – è stato contenuto (malgrado anche qui, come altrove, negli ultimi giorni si stia assistendo a un aumento dei casi).

    La regola numero uno dell’Athletes and Officials Playbook, sviluppato dal comitato olimpico e paralimpico – criticato nei mesi scorsi da alcuni esperti per mancanza di valutazioni del rischio basate sulle evidenze – è semplice e chiara: ridurre al minimo le interazioni con chi non partecipa ai giochi e attenersi a quelli strettamente necessari, regolari, afferenti alla propria bolla, nel rispetto delle norme anti-contagio di base.

    Anche per questo una delle raccomandazioni rivolta agli atleti e al loro entourage è quella di sottomettere (e attenersi) ai piani chiari di tutti i loro movimenti pianificati e possibili, di utilizzare i trasporti messi a disposizione dai giochi e di giustificare l’eventuale ricorso a mezzi pubblici, generalmente banditi. Perché nella pratica, almeno i partecipanti, sono controllatissimi e seguitissimi (con assistenti sul posto dedicati), anche da ben prima dell’arrivo a Tokyo o nelle altre località dei giochi.

    Le app in campo

    Generalmente si parla di monitoraggi che cominciano due settimane prima l’arrivo a destinazione, attraverso la registrazione giornaliera della temperatura. I monitoraggi, una volta arrivati a destinazione (e ovviamente aver superato i controlli di salute, compresi test ripetuti alla partenza e all’arrivo, dopo il quale sono previsti tre giorni di quarantena, e in teoria altri test su base giornaliera con antigenico sulla saliva durante la permanenza), si avvalgono anche dell’uso di due app, Ocha e Cocoa.

    La prima è una app pensata per gestire più gli aspetti logistici e burocratici dell’ingresso e permanenza in Giappone, ma non solo. È attraverso la app Ocha (Online check-in and health report app) per esempio che gli atleti registrano giornalmente il loro stato di salute generale e temperatura. Cocoa (Contact confirming app) invece è una app ideata più per le attività di tracciamento (una sorta di Immuni, ma si spera più di successo verrebbe da dire), per cui è richiesto anche l’attivazione della funzione Gps. Sul fronte vaccini, sebbene non siano richiesti per la partecipazione ai giochi, l’organizzazione invita tutti a provvedere, in accordo alle politiche e campagne vaccinali nelle nazioni di origine e stima che oltre l’80% dei residenti dei villaggi olimpici e paralimpici sarà vaccinato.

    Regole e procedure sono tante, fuori e dentro i luoghi delle competizioni, ma come accennato, da più parti, e già da tempo, si son alzate voci critiche o quanto meno preoccupate sull’efficacia di queste misure. Arrivano da esperti di sanità locale, come quelle raccolte dal Time per esempio, ma non solo, e sono dubbiose non tanto per l’efficacia delle misure in sé, quanto per il fatto che in un evento di così grandi dimensioni, seppur ridotte, il rischio (che mai può essere zero) esiste. Nelle due direzioni: da una parte il timore è che tante persone provenienti dall’estero possano portare il Sars-Cov-2 nel paese, dall’altro che il virus possa infiltrarsi anche nei giochi. Ma anche solo che gli stessi giochi diventino occasioni di raduno locale (come lo sono stai i recenti Europei d’altronde da noi, con tutti i timori collegati) e così di miccia per nuovi focolai.

     

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